Oggi, dopo 10 secoli di
agricoltura, appena il 17% delle terre abitabili non è
stato toccato da attività umane, in pratica solo i poli
e i deserti. La Terra brulica di città, paesi, campi,
pascoli. Ogni 15 km c’è almeno una via di comunicazione
o di trasporto di energia. Non c’è angolo del pianeta
dove di notte non brillino luci artificiali. Due terzi
delle foreste e metà delle praterie del pianeta sono
state distrutte per dare spazio alle coltivazioni, i
grandi felini e moltissime specie animali sono stati
eliminati.
Le città hanno sviluppato un microclima proprio, dovuto
alle ampie superfici rigide dei palazzi riscaldate dal
sole, alle piogge incanalate in condotte sotterranee, ai
rifiuti e all’inquinamento che insieme producono un
riscaldamento eccessivo. Questo scudo termico
cittadino rende il clima più ventoso e nuvoloso
delle campagne e altera le correnti atmosferiche. Il
rapporto tra uomo e ambiente si è gradualmente e
profondamente alterato. La crescita della popolazione
aumenta le superfici distrutte dall’agricoltura, produce
inquinamento, crea denutrizione e povertà. Oltre sei
miliardi di persone vivono in 40 milioni di km2, il
territorio abitabile della Terra, con una media di 166
abitanti per chilometro. Il Giappone che ha 125 milioni
di abitanti ma solo il 16% della superficie abitabile
vanta la maggiore densità abitativa, 2.000 persone per
chilometro quadro! La crescita demografica rappresenta
la minaccia più seria per l’ambiente e la sfida più
grande che l’uomo deve affrontare. Tre miliardi di
persone vivono in povertà, oltre un miliardo soffre la
fame e anche se l’attuale ritmo di crescita demografica
è ridotto rispetto al picco degli anni 65–70 il trend
attuale dell’1,3% è estremamente preoccupante. I fattori
principali che ne influenzano l’aumento sono la
fertilità – strettamente legata alla disponibilità del
cibo - e la mortalità, mentre epidemie, guerre e
carestie hanno scarsa influenza. La natalità rimane alta
nei paesi sottosviluppati nei quali è elevata la
mortalità infantile e breve la durata della vita. Nei
paesi ricchi viceversa il ritmo di natalità si è
estremamente ridotto così come si è ridotta la mortalità
grazie all’igiene e allo sviluppo della medicina. Questo
ha portato nel secolo scorso alla cosidetta
transizione demografica verso una popolazione
percentualmente vecchia e stabile. La crescita futura è
difficile da prevedere. Anche se il ritmo di sviluppo è
rallentato, anche se Cina e India attuano controlli
delle nascite sia pure con diverso grado di severità,
dal 1960 ad oggi l’Africa ha triplicato la popolazione,
mentre Asia, America Latina e Caraibi l’hanno comunque
raddoppiata ed è cresciuto, soprattutto nei paesi più
poveri, il numero delle magalopoli. L’impatto sul
pianeta, valutato in base a tre fattori, il numero della
popolazione, i consumi pro-capite e il danno ambientale
porta a chiedersi qual è il limite di sostenibilità
della Terra. Calcoli risalenti agli anni ’90
che valutavano il rapido esaurirsi della superficie del
terreno e della disponibilità delle falde acquifere, la
biodiversità e l’inquinamento indicavano come l’umanità
già allora avesse ampiamente superato la soglia della
sostenibilità e seriamente compromesso ogni risorsa per
le generazioni future. Recentemente, in soli 200 anni,
l’uomo ha indotto cambiamenti ambientali di tale portata
che in precedenza alla natura ne erano serviti milioni.
Il suolo con l’agricoltura e con le costruzioni ha visto
un aumento drammatico dell’erosione e il denudamento dei
continenti. Il ciclo del carbonio è drammaticamente
cambiato con livelli di anidride aumentati di un terzo
rispetto all’epoca pre-industriale. La biologia ha visto
estinzioni massive, migrazioni di moltissime specie e
sostituzione della fauna selvatica con quella domestica.
Gli oceani con l’innalzamento delle acque e la
diminuzione della loro acidità hanno subìto problemi di
flora e di fauna marina tali da riflettersi sui
sedimenti dei fondali al punto che qualcuno
già parla di Oligocene concluso e di inizio di una nuova
era geologica, l’Antropocene. E’ qualcosa di più
di una provocazione. Viene da chiedersi se l’uomo non
sia giunto al termine della sua parabola evolutiva.
Certo, se prendiamo come marker del processo l’encefalizzazione,
l’evoluzione biologica può considerarsi conclusa, ma
l’evoluzione culturale in realtà è solo agli inizi.
Facendo riferimento alle dinamiche evolutive della vita
sulla Terra saremmo portati a dire che i quattro milioni
di anni appena trascorsi hanno visto la fase del rapido
progresso evolutivo mentre non è ancora iniziata la
seconda fase, quella della lunga stabilizzazione. La
storia dei dinosauri ci insegna che quella specie dominò
la Terra per 160 milioni di anni, altrettanti quindi
potremmo aspettarcene noi umani. Di sicuro però
l’ambiente è gravemente compromesso, la sovrapopolazione
incombe e per certo 10.000 anni fa siamo usciti
dall’ordine naturale delle cose. Si prospettano allora
due diversi scenari di cui il primo, salvifico, è legato
al progresso tecnologico, l’altro invece potrebbe
rappresentare il declino e la scomparsa dell’umanità.
GC. |
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CRESCITA DEMOGRAFICA NELLA STORIA |
12.000 anni fa
10.000 “
2.000 “
1840
1930
1975
1990
2008 |
1 milione
5 milioni
200 milioni
1 miliardo
2 miliardi
4 miliardi
5,2 miliardi
6,6 miliardi |
CRESCITA FUTURA
(a condizione che il ritmo di fertilità
continui a calare) |
2010
2050
2150 |
6,8 miliardi
9,4 miliardi
11,6 miliardi |
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